RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX -
Rivalutare il G8 di Genova, seminò cose buone
Roma, 9 luglio 2009
Rivalutare il G8 di Genova, seminò cose buone
Roberto Cassinelli
Ieri è cominciato il G8 dell'Aquila. La massima assise mondiale è tornata
alla presidenza italiana. E non si può non ricordare che otto anni fa
toccava a Genova essere sotto i riflettori del mondo. Se nel capoluogo
ligure non fosse successo ciò che purtroppo è successo, se non avessero
prevalso una violenza cieca ed una dissennata voglia di distruzione, quel
vertice sarebbe passato alla storia come quello che per la prima volta
aveva aperto le porte ai Paesi africani ponendosi concretamente il
problema del debito, della fame, delle malattie e dei temi del terzo mondo.
A Palazzo Ducale c'erano i grandi della terra. C'erano Bush e Putin.
C'erano Schroeder, Chirac e Tony Blair. La presidenza italiana aveva
preparato documenti e proposte che poi sarebbero stati ripresi da tutti i
G8 successivi. Si inaugurava un metodo, quello dell'allargamento del
tavolo, che avrebbe portato - ad esempio - alla formula del G20 già
sperimentata lo scorso aprile a Londra. La cosa che oggi rammarica è
questa: se in quel G8 non ci fosse stata quella esplosione di violenza,
oggi ricorderemmo quel vertice per essere stato un seme proficuo dei
vertici successivi. Ed il nome di Genova sarebbe stato associato ad una
delle pagine più belle della diplomazia e della solidarietà mondiali.
Nei giorni del G8 di Genova, il presidente Berlusconi si rammaricava
proprio di questo: come è possibile che accada tutto ciò? Come è possibile
che ci siano manifestazioni violente proprio mentre il G8 accoglie le
richieste del movimento no global focalizzando la sua attenzione sui
poveri, sugli emarginati, sugli ammalati, sui paesi meno sviluppati del
mondo? Era una preoccupazione vera. Mentre i grandi della terra
discutevano su come rispondere alle esigenze della umanità sofferente, i
"paladini" di quella umanità distruggevano la bella Genova.
A nulla servirono gli appelli alla calma e alla ragionevolezza. Nulla si
poté fare contro chi aveva deciso di venire a Genova a mettere a ferro e a
fuoco la città. Su di loro e sui loro mandanti si dovrebbe fare una volta
per tutte chiarezza. E non è un caso che la verità processuale abbia
accertato che non vi fu "persecuzione politica" da parte delle forze
dell'ordine. Che non vi fu alcun ordine "centralizzato" di violenza, di
rappresaglia nei confronti dei manifestanti. Ricordo come ora le critiche
a cui venne sottoposto l'allora ministro dell'interno Claudio Scajola, reo
- secondo i maitre à penser nostrani - di aver schierato la contraerea per
difendere gli arrivi dei leader all'aeroporto di Genova.
La strage dell'11 settembre avrebbe dimostrato dopo appena pochi mesi che
quelle preoccupazioni non erano affatto infondate. Ci sarà una ragione se,
a distanza di otto anni, Berlusconi rimane l'unico leader mondiale che
abbia presieduto per tre G8. E ci sarà una ragione che spiega perché
Claudio Scajola sia il ministro della Repubblica che sta guidando il Paese
verso la modernizzazione, facendogli prendere la strada del nucleare,
ingiustamente abbandonata per tanti anni. E ci sarà una ragione che spiega
perché quel movimentismo violento e insensato sia rimasto senza fiato ed
appaia consegnato alla soffitta della storia.
Questa è la provocazione che intendo lanciare al dibattito di casa nostra:
non è possibile pensare al G8 di Genova come ad una pagina oscura della
nostra storia. Cominciamo a pensare a quel summit come ad un momento
positivo, ad un seme prolifico che oggi ha portato frutti preziosi al
dibattito internazionale. Solo così potremo finalmente affrancare la città
da quel senso di pudore e di vergogna che fa ingiustamente arrossire i
genovesi e che invece dovrebbe appartenere soltanto a chi spaccava le
vetrine e bruciava le automobili in quelle disgraziate giornate.
Roberto Cassinelli è deputato genovese del Pdl, membro della Commissione
giustizia.